In your head, in your head they’re still fighting,
With their tanks and their bombs,
And their bombs and their guns.
In your head, in your head, they are crying…
In your head, in your head,
Zombie, zombie, zombie.
Non mi sentivo comodo seguire le indicazioni per Dachau in moto. Qualsiasi altro mezzo – macchina, TIR, carro armato – sarebbe stato più appropriato. Ma questo è il mezzo che ho scelto e come una brava compagna mi sosteneva lungo il sentiero d’asfalto 20 km da Monaco.
Visitare un campo di concentramento non è uno shock quando sei cresciuto con la memoria della Shoah. I campi fanno parte ormai della geografia emotiva; i luoghi, le date e i personaggi sono elementi della storia famigliare. Cioè, le foto dei liberatori non sono più sconvolgenti e i racconti dei sopravvissuti sembrano seguire temi già conosciuti. Sei impermeabile agli stimoli.
Essere impermeabile agli stimoli però vuol dire anche essere chiuso, forse ermeticamente. Ed essere chiuso vuol dire che gli stimoli già entrati, sensoriali ed emotivi, rimangono dentro senza possibilità di riconoscimento o di trasformazione.
Di che materiale è fatta questa chiusura per la gran parte di noi? Secondo me di idee, di concetti e di storie: mi identifico con il mio gruppo, le ingiustizie perpetuate dalle singole persone del tuo gruppo alle singole persone del mio gruppo diventano ingiustizie perpetuate da te a me. Non devi aver ereditato le memorie delle persecuzioni e i pogrom: un gruppo può essere religioso, etnico, politico, economico, sportivo, nazionale e così via. Ascolta le tue identità e sentirai non solo quali sono i tuoi gruppi ma anche “gli altri” in confronto ai quali le storie che ti definiscono non sarebbero possibili. Dov’è la destra senza la sinistra? I comunisti senza i fascisti? Religiosi/cattolici/chiesa senza laici? Romanisti senza Laziali? Ricchi senza poveri? Figli senza genitori? Non parlo storicamente (la storia) ma “storiemente” (le storie), concettualmente. Queste storie e i concetti semplicistici che implicano non sono soltanto maschere per le emozioni più basilari come l’orgoglio, la paura e la rabbia, ma le chiudono dentro di noi.
Il lato positivo è che la chiave che chiude dentro è la stessa che apre ed è sempre a portata di mano. Perciò è importante tornare – in questo caso fisicamente – alla storia, alla nostra storia e alle nostre storie con lo scopo di guardarle con occhi più maturi e più adulti.
Inevitabilmente i nostri concetti sono troppo semplici per la realtà e in quei momenti ci troviamo davanti ad una scelta. Uno, possiamo filtrare i dati che non corrispondono. Per esempio, saltare i racconti di come singoli residenti del paese di Dachau hanno cercato di aiutare gli imprigionati e hanno partecipato a una rivolta fallita e notare solo i diversi tipi di tortura e gli sperimenti sugli esseri umani. Oppure, possiamo cercare in modo attivo gli individui, l’individualità, le esperienze e le vite anche e specialmente quando i dati non sono congruenti con le storie nella nostra testa. La prima scelta gira la chiave dei nostri cuori e i nostri occhi nella direzione della chiusura, la seconda verso l’apertura e verso una comprensione più completa della realtà.
Continuo con l’esempio. Cercare l’individualità o l’umanità di una persona che ha torturato o ucciso non vuol dire giustificare o scusare. Vuol dire avere comprensione verso quella persona che non aveva altri mezzi per comportarsi diversamente e avere compassione sapendo che una persona così intrappolata dal suo odio e dalle sue paure non poteva conoscere la felicità. Come dice il monaco Thich Nhat Hanh, dopo avere letto di una ragazza di dodici anni stuprata e uccisa da un pirata,
Quando ricevetti la notizia di quella morte mi arrabbiai, ma dopo aver meditato per diverse ore mi resi conto che non potevo prendere le parti di quella ragazza e condannare il pirata. Vidi che se io stesso fossi nato in quel villaggio e fossi cresciuto nello stesso modo del pirata, mi sarei comportato esattamente come lui. Mettersi dalla parte di qualcuno è troppo semplice.
Se è troppo semplice metterci dalla parte della ragazza, quanto è semplice – e facile – metterci dalla parte di noi stessi, ovvero della nostra identità semplicistica! Cosa succederebbe se per un attimo lasciassimo in pace le storie, smettessimo di prendere un ruolo, di sentirci giustificati o di disumanizzare gli altri? Vi parlo dell’esperienza: lasciai Dachau con meno rabbia ma con determinazione, in pace e con un senso di speranza.
Non fraintendiamoci. Lasciare in pace le storie non significa dimenticare la storia. Senza la storia non c’è nessuna possibilità di entrare in contatto con la realtà passata, nessuna base sulla quale potremo mettere in questione le storie. Senza la storia non potremo ricordare i pericoli reali dell’orgoglio, della rabbia e dell’odio, né i tanti momenti di bellezza, di generosità, di apertura e di coraggio di fronte a quei pericoli. Ma possiamo lasciare in pace le storie che si raccontano da sole nelle nostre menti, che ci impediscono di vedere la realtà e che chiudono dentro le emozioni che ci causano di soffrire.
Qual’è la differenza tra metterti dalla parte di qualcuno e giustificare il suo comportamento? Ricordo che in America certi cristiani dicevano “odiate il peccato, amate il peccatore”. Solo quando vedi una persona nella sua umanità puoi vedere i perché dietro il comportamento, e da quel punto possiamo vedere che è in nostro potere di cambiare i perché futuri. Quando il mondo è pieno di mostri è logico avere paura e rabbia. Ma quando il mondo è pieno di condizioni che puoi cambiare è normale sentire coraggio e avere la pazienza.
Se “l’altro” non è più un mostro, cosa succede a “noi”? Se possiamo vedere l’altro come un essere umano è anche possibile vedere dentro noi stessi un mostro. Questa è la parte più difficile ma anche la parte che porta maggior soddisfazione. Come dicevo in il tuo vero potere, in ogni momento abbiamo la possibilità di trasformare la rabbia e l’odio. Invece di entrare in una sorta di relativismo, identificarci con l’altro ci porta a vedere esattamente quelle cose che possiamo davvero cambiare nel qui e ora. Lavorando con quelle cose vedremo effetti veri e visibili con il tempo.
E quindi troviamo una simmetria magica. Le storie, la semplicità, lo stesso pensiero che nega l’umanità creando inferni terrestri è anche lo stesso che ci fa soffrire al livello individuale. Dall’altra parte, girare la chiave nella direzione opposta non solo ci permette di vivere con più pace e meno rabbia. Ci permette di vedere i modi pratici con cui possiamo prevenire future tragedie.
Sei anni in Italia sono abbastanza per aver incontrato le principali storie italiane. Persone di destra parlano di “la sinistra” e viceversa come se l’altro fosse una forza monolitica senza faccia né individualità. Religiosi e laici pure. Qual’è il rischio di vedere l’umanità dell’altro? Il rischio è di confrontarci con le emozioni che stanno dietro le nostra identità, ma è proprio lì che si trova la chiave della nostra felicità. Quali sono le tue storie? Che emozioni nascondono e come ti impediscono di incontrare una realtà più complessa? Possono essere storie nazionali o storie famigliari, ma sono le tue storie e sarai la prima persona a sentire il sollievo quando giri la chiave.
L’unica via d’uscita da Dachau e da qualsiasi inferno creato dalle nostre storie viene percorsa su due ruote: la comprensione e la compassione.