Life is worth living

Sulla porta della mia casa c’è un adesivo da paraurti che ricevetti due mesi fa nella Palestina. E’ scritto in arabo e in inglese: “Life is worth living”, che può essere tradotto “La vita è degna di essere vissuta”.

Lo misi sulla porta perché mi piace l’idea ma non avevo capito fino in fondo la natura radicale della frase fino a ieri, quando un operaio palestinese che lavorava sulla casa del vicino ha cominciato una conversazione. L’uomo aveva una cinquantina d’anni. In generale l’età media degli operai qui è più grande che in Italia, un dato che riflette due aspetti della realtà: la difficoltà economica nella Palestina e il fatto che è assai più probabile che un attentato viene compiuto da un maschio più giovane; perciò la storia tragica dei posti di blocco. L’uomo chiedeva con entusiasmo da dove ho avuto l’adesivo. Ha chiesto se io sapessi chi l’ha scritto ed era molto felice di raccontarmi chi.

In molte parti del mondo “la vita è degna di essere vissuta” potrebbe essere uno slogan contro la pena di morte, contro l’aborto o di un’altra causa ancora. Ma scritto in arabo e distribuito da palestinesi in Palestina ha un altro senso. Intrappolati fra l’occupazione israeliana da una parte e l’indottrinamento integralista (Hamas) o nazionalista (Fatah) dall’altra, il messaggio che i giovani ricevono da tutte e due le parti è che la loro vita non è degna – o per la mancanza di rispetto verso i loro diritti civili e umani nei posti di blocco, le distruzione delle case e l’incarcerazione e detenzione di 10.000 palestinesi in Israele, o per la glorificazione dei martiri e l’insistenza su tutti i mezzi di comunicazione che solo morendo (a volte morendo mentre uccide il nemico, soldato o cittadino che sia) la vita ha un significato. Questi messaggi, diretti e indiretti, non possono che avere un impatto forte specialmente sui giovani. E quindi “la vita è degna di essere vissuta” non è né una frase new-age leggera né una chiamata a una causa per la quale lottare ma qualcosa di molto più coraggiosa.

La vita, il nostro essere in vita, in questo momento, è un miracolo. Non abbiamo fatto niente per meritare la capacità di camminare su due gambe, di guardare un bel panorama o di parlare con un amico. Lasciare che un altro ci convinca del contrario, o che ci distragga da questo regalo, è forse l’ingiustizia più grave che ci sia. Mi emoziona il coraggio di questa frase e dei giovani che me l’hanno regalata. Allo stesso tempo rifletto su i tanti momenti, anche in Italia, che di fronte a cose molto più piccole e meno gravi, mi perdo nella dimenticanza. Se questi ragazzi, nella Palestina d’oggi, possono fare questo sforzo, forse lo possiamo fare anche noi?

Gerusalemme città intensa

Israele è un paese con una certa intensità e Gerusalemme ancora di più. Sono arrivato venerdì mattina e ovviamente la nuova casa aveva bisogno di arredamento e di pulizia. Vado allo sciuc insieme al nuovo inquilino (romano, così non dimentico un bel gnente) a comprarci della roba. Ogni persona che vendeva o che comprava, ogni persona in macchina o che passava camminando aveva un senso di urgenza. I clacson suonavano, i venditori annunciavano i prezzi dei loro prodotti e gli altri sembravano tutti giocatori di football americano cercando nella folla qualsiasi apertura per infilarsi a continuare i loro percorsi. Fatta la spesa e torniamo a casa a sistema’.

Poi la sirena. Il tono ha durato un minuto intero e improvvisamente una magia è scesa sulle strade, sulle case, sulle persone. E’ arrivata la Shabbat con il suo silenzio e la sua tranquillità. Gli odori di tante cene pian piano aleggiavano dalle finestre, i suoni dei canti uscivano dalle piccole sinagoghe, le strade e i vicoletti restavano deserti e potevano respirare. Ventiquattro ore senza autobus, con poche macchine, poca gente in giro e tanta pace.

E domenica ricominciamo.

Mi sento come se fosse in qualche fiaba. E’ difficile credere che sia vera quest’ambiente, quest’intensità che pervade tutto, per bene e per male, quest’aria che opprime e che esalta.

Qui faccio una passeggiata nel rione Nahlaòt.

Torno o parto?

Molto divertente… appena torno a Roma mi chiedete “allora quando parti?”. Sarebbe divertente se non fosse tra un mese…

Sono stato di nuovo a Gerusalemme, questa volta per partecipare a una workshop sull’educazione e la pace. 160 persone sono venute, israeliani, palestinesi e “internazionali.” Parlavamo del fatto che abbiamo due narrative storiche opposte – l’indipendenza per alcuni è la catastrofe per altri, la resistenza per alcuni è il terrorismo per altri. Per quanto possono esserci due storie però, la confusione è unica e siamo uniti nella credenza erronea che stare bene vuol dire vincere i vicini. Spero che usciremo tutti da questi 60 anni di confusione con indipendenza e sicurezza per tutti, sapendo che ce l’abbiamo fatto insieme.

Sono stati otto giorni senza la moto, un po’ di più senza scrivere sul blog. Qualche vacanza ci vuole, no?

Al-Qaeda difende Israele

Impossibile ma vero. Ayman al-Zawahiri, il numero due di Al Qaeda, smentisce le voci nel medioriente che Israele aveva a che fare con gli attacchi del 11 settembre 2001. Secondo l’Associated Press,

Al-Zawahri ha accusato il canale televisiva dell’Hizbullah nel aver sparso le voci. “Il motivo di questa bugia è chiaro – (a insinuare) che non ci sono eroi fra i sunniti che possano danneggiare America come nessuno ha mai fatto nella storia. La media iraniana ha preso subito questa bugia e l’ha ripetuto,” ha detto.

L’obbiettivo dell’Iran qui è anche chiaro – di nascondere il suo coinvolgimento con l’America nell’invadere le case di musulmani in Afganistan e in Iraq”, ha aggiunto. Iran ha collaborato con gli Stati Uniti nell’assalto in Afganistan che ha fatto cadere gli alleati di al-Qaeda, i talebani.

Al-Qaeda aveva precedentemente preso responsabilità degli attacchi del 11 settembre, ma gli accusi di al-Zawahri dell’Iran nella sua risposta ha sottolineato le sue denunce crescenti dell’Iran, che non aveva menzionato spesso nei suoi messaggi degli ultimi mesi.

Con nemici così….

Correzioni di italiano ben accettati.

Il confine della nostra terra


Questo percorso tortuoso
è fatto di curve e di pieghe
che entrano e rientrano
penetrano e ritirano
come un gioco di due lingue
lungo l’unica forma di due corpi.

E’ una linea non di separazione ma di contatto
di nessun colore ma di calore
e di sapore
come il sudore
generato e mescolato là dove si incontrano
le dita delle nostre mani intrecciate.

Non ci divide
ci unisce e ci teniamo stretti
pancia a pancia
bocca a bocca
perchè la frontiera non scompaia.

Confine
con fine
con il fine di conoscere
con il fine di avvicinare
con il fine di amare.

Un viaggio nella terra santa – seconda parte

Per arrivare alle altezze del Golàn devi attraversare il fiume Giordano e salire fino a 1200 m. La strada si piega continuamente e ad ogni giro la vista della galilea è diversa, più ampia, più complessa, più mistica. Il premio per la salita fino al altopiano è di poter guardare anche nella direzione opposta e mirare al monte Hermòn.

La riserva naturale di Gamla è incredibile, e credo che lo pensano anche gli avvoltoi che la scelgono per costruirci il nido. Tra i vari sentieri uno ti porta intorno alle cascate (50m), e un altro al sito archeologico della città ebraica distrutta da Vespasiano nel anno 68.

Non è un sentiero facile – devi scendere scendere scendere scendere, scegliendo con cura ogni passo mentre chiedi a te stesso “come ci si può aspettare di percorrere questa strada in salita, al ritorno?”, e poi devi salire salire salire salire sull’altra colle dove si trova la città antica. Riposi, guardi le montagne, il lago, gli avvoltoi, e con trepidazione anche la discesa e la salita salita salita salita che dovrai fare per ritornare.

Un viaggio nella terra santa – prima parte

Questa mattina mi sono svegliato presto. Non per un’overdose di caffè e neanche per colpo di quella zanzara (finalmente catturata e rilasciata fuori casa), ma perchè per una settimana invece di sedermi in biblioteca da bravo e lavorare ho fatto un giro della terra santa.

Dal mar morto al Golan sono solo due ore e mezzo di viaggio. Inizi nel deserto di Giudea e il punto più basso sulla terra (400 metri sotto il livello del mare), dove il clima aridissimo pare di non poter sostenere nessun segno di vita. Ma gli stambecchi sanno come trovare le fonte d’acqua, gli esseni costruirono delle cisterne più di due mila anni fa, e i turisti tedeschi e sudamericani arrivano alle stazioni balneari senza problemi.

Segui la valle del fiume Giordano, sempre ben sotto il livello del mare, e scegli sulla radio il canale giordano che ti piace di più. Le montagne oltrefiume sembrono enormi e solo pochi metri alla tua sinistra c’è il parete del precipizio che divide fra le montagne della Samaria (tipo il buon samaritano) e la valle del Giordano. Non lo sai ma direttamente sopra la tua testa è il percorso migratorio più affollato del mondo: due volte all’anno 500 millioni di uccelli passano qui tra l’europa e l’africa. Quindi è prudente chiudere il solarium della macchina.

Poi arrivi alla Galilea, dove Gesù viveva ed insegnava. Ha scelto proprio il posto adatto al suo insegnamento: il tranquillissimo lago di tiberiade è circondato da colline verdi e gentili. Fai il giro del lago e dall’altra parte c’è la salita – finalmente al livello del mare. Tra i vari siti d’importanza cristiana c’è la chiesa sul monte dei beatitudini.

Dentro troverai una suora che, ad ogni sussurro, singhiozzo o squillo di telefonino, urla “silence in church! silence in church!“. Mentre uscivo da una massa di turisti americani entrava una massa di turisti africani cattolici. La suora gli chiese, “avete un padre con voi?”, e appena iniziarono a rispondere “sì, il nost…” urla “silence in church!

Mo tocca ad andare in biblioteca.