Sulla strage, sulla violenza e la via d’uscita: Lettera da Phap Luu

Fratello Phap Luu, monaco di Plum Village, Francia, è cresciuto a Newtown, CT. Ha scritto questa lettera profonda e commovente ad Adam Lanza, la persona che ha compiuto la strage della settimana scorsa. Tradotta dal testo originale in lingua inglese.

sabato, 15 dicembre 2012
Dharma Cloud Temple
Plum Village

Caro Adam,

Permettimi di cominciare con l’augurio che tu trovi pace. Sarebbe facile chiamarti un mostro e condannarti per l’eternità, ma non credo che questo sarebbe di beneficio a nessuno di noi.  Dato ciò che hai fatto, riconosco che non sarà tanto facile trovare la pace. In un momento d’ira, delusione e paura – sì, soprattutto, credo, di paura – hai pensato che uccidere era una via d’uscita. Chiaramente era un’emozione fortissima quella che ti ha spinto dal cadavere di tua madre a massacrare i bambini e lo staff della scuola Sandy Hook, volgendo alla fine l’arma su di te. Hai deciso che il gioco era finito.

Il gioco non è finito però, anche se sei morto. Non hai trovato una via d’uscita dalla tua rabbia e dalla tua solitudine. Continui a vivere in altre forme, nelle famiglie distrutte e nella loro disperazione, nella loro fiducia violata, nella ferita aperta di una comunità e nei numerosi articoli e commenti giornalistici che si diffondono nel nostro paese e nel mondo. Sì, continui a vivere anche in me. Anch’io ero un bambino cresciuto a Newtown. Ora sono un monaco buddista Zen. Ti vedo chiaramente in me ora, tu continui attraverso l’eredità delle tue azioni e vedo che nella morte non sei diventato libero.

Sai, giocavo a calcio nel campo della scuola Sandy Hook, che si vede dalla stanza dove sei morto, quando avevo l’età dei bambini che hai ucciso. La nostra squadra si chiamava Eagles e abbiamo vinto il campionato della divisione quell’anno. Mia madre tiene ancora il trofeo in una scatola da qualche parte. Ad essere sincero, non ero e non sono un calciatore tanto bravo. Ho conosciuto la vittoria, ma ho conosciuto anche la sconfitta e  l’essere scelto per ultimo quando si facevano le squadre. Credo che anche tu l’abbia conosciuto – il dolore di essere respinto, l’isolamento e la solitudine. Una solitudine troppo forte da sostenere.

Non sei l’unico a sentirla. Quando sorge la solitudine è molto facile cercare rifugio nel mondo virtuale di computer e film, ma questi ci aiutano davvero oppure aumentano solo il nostro isolamento? Nella nostra ricerca di essere più connessi, abbiamo perso la nostra vera connessione?

Vorrei sapere che cosa facevi con la tua solitudine. L’avevi mai affrontata, come me, camminando nei numerosi boschi della nostra regione? Conosco bene il sentiero che porta dalla scuola al ruscello, velato da faggi e pini bianchi. Questo sentiero forma il paesaggio della mia mente. Ricordo bene l’emozione di uscire da solo sul percorso che porta… a Treadwell Park! All’epoca sembrava un sentiero magico, uno dei tanti segreti che ho scoperto in quei boschi, alcuni sono ancora nascosti. Hai mai appoggiato il viso sui solchi della corteccia di una quercia, per sentire il cuore del legno così solido e la sua vivacità tranquilla? Hai mai giocato nel flusso del ruscello, creando piscine con i sassi, come se questo fosse il tuo regno? Hai mai fatto l’esperienza della guarigione, della connessione e della pace che accompagnano momenti come questi, come facevo spesso io?

O forse la tua solitudine conosceva solo schermi, con figure di luce che ballavano a seconda della tua volontà? Quante vite false hai vissuto, quanti colpi hai sparato, quante bombe hai fatto esplodere e quante vite hai perso ai videogiochi e nei film?

Uccidendo te stesso all’età di vent’anni, non ti sei mai dato l’opportunità di crescere e di sperimentare come le meraviglie della vita possono portare felicità. So che alla tua età non avevo ancora imparato a farlo.

Ora ho trentasette anni, circa la stessa età in cui il mio insegnante, il Buddha, ha realizzato che esiste una via d’uscita dalla sofferenza. Non sono illuminato. Questa mattina, leggendo le notizie e le parole dei miei compagni di scuola sconvolti, è sorta un’onda di tristezza e ho pianto. Poi ho camminato un po’, nel bosco adiacente al nostro monastero, e nel umido freddo invernale della Francia ho pianto ancora, accanto all’albero d’alloro. Ho pianto per i bambini, per i maestri, per le loro famiglie. Però ho pianto anche per te, Adam, perché credo di conoscerti, anche se non ci siamo mai incontrati. Penso di conoscere il paesaggio della tua mente, perché è il paesaggio della mia mente.

Non credo che tu odiassi quei bambini, neanche tua madre. Credo che odiassi la tua solitudine.

Ho pianto perché ho mancato nei miei doveri verso di te. Non ti ho dimostrato come piangere. Ho mancato nel sedermi ad ascoltarti senza giudizio e senza reagire. Come molti miei coetanei, ho lasciato Newtown all’età di diciassette anni, pieno di fiducia e di determinazione, con gli auguri di amici e l’approvazione dei grandi. Sono stato uno dei molti giovani che se ne sono andati, e nel lasciare il paese abbiamo lasciato indietro molti, come te, appena nati. In quel senso faccio parte della cultura che ha mancato nella sua responsabilità verso di te. Non sapevo ancora cosa vuol dire comunità, neanche di essere già parte di una comunità, finché non l’ho persa e mi sono reso conto che ne avevo disperatamente bisogno.

Ho mancato di essere una delle persone che potevano esserci per ascoltarti. Non ci sono stato per aiutarti a respirare e a prendere coscienza delle tue emozioni forti, ad aiutarti a vedere che sei più di un’emozione sola.

Sono sicuro però che altri nella comunità ti volevano bene, ti amavano. Lo sapevi?

In terza media ho vissuto continuamente il terrore di un compagno di scuola e della sua rabbia. E’ stata la prima volta che ho conosciuto l’aggressione. Nessuno schermo o televisore mi ha offerto una via d’uscita, solo la mia immaginazione e i libri. Mi immaginavo di essere un grande mago, che lanciava palle di fuoco per il corridoio della scuola, così da incutere paura e guadagnare il suo rispetto. Anche tu sognavi in questo modo?

La via d’uscita dall’essere vittima non è diventare il distruttore. Non importa quanto grande è la tua solitudine, quanto pesante è la tua disperazione, tu, come ognuno di noi, hai ancora la capacità di essere sveglio, di essere libero, di essere felice senza essere la causa del dolore di nessuno. Non lo sapevi, o non lo potevi vedere, e quindi hai scelto di distruggere. Noi non eravamo abbastanza abili ad aiutarti a vedere una via d’uscita.

Con questo atto terribile ci hai resi consapevoli. Ora sto ascoltando, stiamo tutti ascoltando, il pianto che emana dall’inferno della tua mancanza di comprensione. Non sei solo, e non sei scomparso. E forse non avrai mai pace finché non fermiamo il nostro essere continuamente impegnati, la nostra brama di potere, denaro e sesso, e le nostre vite di paura e di ansia, per ascoltarti davvero, Adam, e per esserti un amico, un fratello. Con un buon amico dalla tua parte forse la tua solitudine non ti avrebbe sopraffatto.

Noi però avevamo bisogno anche di te, Adam. Dovevi farci sapere che soffrivi, cosa non sempre facile. Vuol dire superare l’orgoglio, cosa che chiede coraggio e umiltà. Dato che non eri in grado di farlo, hai lasciato un’eredità pesante alle generazioni avvenire. Se non impariamo come sentirci connessi a te e a comprendere la solitudine, l’ira e la disperazione che provavi — e che giacciono profondamente, a volte di nascosto, dentro ognuno di noi — non collegandoci via Facebook o Twitter o per mail o telefono, ma sedendoci davvero con te e aprendo a te il nostro cuore, allora la tua ira si manifesterà in altre forme ancora sconosciute.

Ora sappiamo che ci sei. La tua storia non si è sviluppata per caso e non sei un’aberrazione. Che la tua azione ci porti a trovare una via d’uscita dalla solitudine dentro di ciascuno di noi. Ho imparato come usare la consapevolezza del respiro per riconoscere e trasformare queste emozioni stravolgenti, ma spero che ogni uomo, donna e bambino non abbia bisogno di spostarsi dall’altra parte del mondo e di diventare un monaco per impararlo. Come comunità dobbiamo sederci e imparare come amare e apprezzare la vita, non con controlli sulle armi e con la sicurezza, ma essendo pienamente presenti l’uno per l’altro, essendoci davvero gli uni per gli altri. Per me, questo è il modo per riportare armonia alla nostra comunione.

 

Douglas Bachman (Fratello Phap Luu) è cresciuto a 22 Lake Rd, Newtown, CT. ed è un monaco buddista e allievo del maestro Zen vietnamita e monaco Thich Nhat Hanh. In quanto membro di una comunità internazionale, insegna l’etica applicata e l’arte della vita consapevole a studenti e maestri di scuola. Vive nel monastero di Plum Village, a Thenac, Francia.

Meditare camminando, per la pace

Rosa Manauzzi* ha intervistato Bar Zecharya, camminatore di pace, cittadino israeliano e da qualche anno italiano, convinto assertore della pace tra i popoli e seguace del monaco Thich Nhat Hanh.

L’intervista è servita, a livello conoscitivo, per la stesura di un articolo, sulle tecniche del benessere, che uscirà prossimamente (mese di settembre) sul Magazine digitale di Buonenotizie.it

Dato che l’articolo apparirà probabilmente in altra forma e con i tagli necessari agli spazi del giornale, è interessante seguire invece il pensiero integrale di Bar e anche l’incontro tra anime che c’è sempre dietro alla preparazione di un pezzo. Ogni intervista, e ogni articolo, per me è davvero come un nuovo mondo che si manifesta davanti ai miei occhi assetati di conoscenza.

Rosa Manauzzi

1. Bar, tra le modalità per raggiungere la consapevolezza, e attraverso questa la pace (con te stesso e con gli altri), hai scelto la meditazione? Puoi dirci che cos’è secondo te?
La meditazione è un atto d’amore. Abbiamo tutti l’aspirazione profonda di essere felici, di vivere in armonia con le persone intorno, di sentirci salvi e di avere il cuore in pace. Quando rallentiamo i pensieri e calmiamo corpo e cuore, ci stiamo già comportando in modo amorevole con noi stessi. La nostra calma, la nostra gentilezza e la nostra presenza autentica diventano poi veri e propri regali d’amore ai nostri parenti, ai nostri amici e a coloro a cui vogliamo bene.

2. Che tipo di meditazione hai scelto di praticare?
Inspiro, mi sento presente nel corpo.
Espiro, rilasso il corpo.

Inspiro, sono cosciente delle mie emozioni.
Espiro, con compassione le lascio andare.

Bastano solo alcuni respiri per riportarci al momento presente, per riportare la mente al corpo. Lo possiamo fare anche adesso!

L’energia che generiamo in questo modo si chiama consapevolezza, presenza mentale o mindfulness. Più siamo radicati nel momento presente, più siamo in grado di apprezzare i miracoli dentro e intorno a noi e più siamo capaci di affrontare le nostre difficoltà con una mente chiara. Per generare la consapevolezza non dobbiamo necessariamente sederci su un cuscino davanti a un altare: quando camminiamo, apriamoci alla realtà del camminare restando presenti a ciò che stiamo facendo. Quando mangiamo, mangiamo con tutto il nostro essere. Thich Nhat Hanh, maestro Zen e monaco vietnamita, insegna che ogni attività giornaliera è un’opportunità di far crescere la nostra energia di consapevolezza. Mangiare, camminare, lavarci i denti e aprire una porta sono tutti momenti in cui possiamo calmare la mente e aprirci alla realtà che è davanti a noi. Ogni respiro e ogni passo possono portare pace a noi stessi e agli altri.

3. Il tuo incontro con Thich Nhat Hanh ha cambiato profondamente la tua vita?
Ho incontrato per la prima volta Thich Nhat Hanh nel 1997 a Tel Aviv, dove tenne una conferenza pubblica prima di offrire un ritiro di consapevolezza. Nhat Hanh insegna la consapevolezza con i suoi discorsi e insegna con il suo comportamento, il suo modo di camminare, il suo modo di essere. La gioia e l’armonia nella sua comunità monastica e laica, compresa la comunità italiana, sono di grande ispirazione ed è difficile non essere toccato da questo tipo di impegno, di cura e di amore. La sua storia personale mi ha lasciato un’impressione fortissima. Nel suo paese durante la guerra civile non ha voluto schierasi con nessuna delle parti, tranne quella della riconciliazione. A Gerusalemme, dove vivo la maggior parte dell’anno, questo messaggio è estremamente attuale, e lo è anche per noi in Italia.

4. In Italia la meditazione non è ancora molto praticata ed è solamente un rituale di coloro che abbracciano la filosofia buddista. E’ possibile scindere le due cose? Ovvero, occorre essere buddista per praticare la meditazione?
Non sono buddista, quindi spero di no! Tornare al respiro e al momento presente per svegliarci al miracolo della vita non è buddismo: è la nostra eredità come esseri umani.

5. Da quanti anni sei in Italia?
Sono venuto in Italia per la prima volta nel 2000, e nel 2009 ho preso anche la cittadinanza italiana. Ultimamente passo la maggior parte del tempo a Gerusalemme ma continuo a tornare in Italia spesso: ho tanti amici qui e vengo frequentemente anche per nutrirmi della forte comunità italiana che pratica la vita consapevole, compreso WakeUp: il movimento di giovani italiani che aspirano a vivere in armonia, gioia e consapevolezza. In Italia ci sono paesaggi stupendi e città di una bellezza squisita. Non viviamo con la paura di bombe o di attentati, abbiamo tutto ciò che ci serve per essere in contatto con le cose positive della vita. Svegliarci a questa possibilità ci può rendere capaci di affrontare al meglio le nostre difficoltà.

6. Nella tua esperienza cerchi di diffondere la meditazione per proporre un diverso approccio ai conflitti personali ma anche ai conflitti del medio Oriente. Dall’esterno sembra un progetto molto ambizioso. Quali risultati sei riuscito ad ottenere?
I grandi conflitti sono creati e alimentati dai piccoli conflitti. Anche se Israele e Palestina firmassero un accordo di pace domani, la paura, il dolore e la tendenza di vedere l’altro come un nemico rimerebbero. Per aiutare gli israeliani a vedere che il loro benessere è legato a quello dei palestinesi e viceversa, dobbiamo addestrarci noi per primi a calmare la rabbia e la paura che si trovano nel nostro cuore. Se non siamo capaci di farlo noi, cosa possiamo aspettare da altri che vivono in condizioni più difficili?

In Israele e in Palestina ci sono molte persone che si impegnano a favore della pace e della riconciliazione, dalla quale abbiamo molto da imparare, ed è una gioia sostenerli e organizzare insieme ad altre persone incontri, giorni di consapevolezza e ritiri. Mi trovo molto commosso quando vedo persone scoprire i benefici della consapevolezza e questo mi dà sempre più motivazione, sopratutto a coltivare la consapevolezza in me stesso. Mi ritengo molto fortunato ad assistere gruppi di praticanti italiani a visitare la Terra Santa in un contesto di consapevolezza e apertura. Da questi incontri tutti – italiani, palestinesi e israeliani – tornano a casa con la sensazione di aver arricchito la loro vita di un mezzo in più per portare la pace nella loro vita e nella loro società.

7. Con quale comunità pratichi la vita consapevole?
Il maestro Thich Nhat Hanh è in Italia dal 30 agosto al 6 settembre: a Milano per una conferenza pubblica e un giorno di consapevolezza, e a Roma per un ritiro, una meditazione camminata e una conferenza pubblica. Per maggior informazioni sugli eventi: www.esserepace.org/lapaceinazione

EsserePace, la comunità italiana che segue l’insegnamento di Thich Nhat Hanh, è molto attiva sul territorio. Organizza incontri settimanali, giorni di consapevolezza e ritiri in molte città italiane.

WakeUp Italia è il movimento dei praticanti under-35. E’ un piacere aver a che fare con giovani così motivati e gioiosi, danno molta speranza per il nostro futuro.

Plum Village, il monastero in Francia dove Thich Nhat Hanh vive e insegna.

In Israele, la Community of Mindfulness in Israel offre ritiri e giorni di consapevolezza in inglese.

*Rosa Manauzzi (Latina, 1971) è scrittrice, giornalista pubblicista, studiosa appassionata di tecniche per il benessere e insegnante di qigong. Si occupa di letteratura e culture del mondo sotto una prospettiva sociologica e comparatistica, medicina naturale, ecologia, biodiversità culturale.
http://www.culturelibere.com
  http://www.qigongtaijicentre.com

Se una mattina presto…

Se una mattina presto, tutta l’umanità svegliandosi scoprisse che tutti gli strumenti di guerra fossero scomparsi, che tutti i recinti e i muri fossero spariti, che neanche una pallottola, granata, carro armato o armatura si trovasse più sulla faccia della terra, ci spaventeremmo e, immaginando che altri farebbero lo stesso, ci metteremmo immediatamente a creare nuovi strumenti di difesa e deterrenza.

Se, però, una mattina presto tutta l’umanità svegliandosi scoprisse che la nostra paura fosse sparita durante la notte, che il nostro sospetto fosse scomparso, che l’egocentrismo non si trovasse più nel nostro cuore, anche se tutti gli strumenti di guerra e di difesa rimanessero intatti, ci stupiremmo della loro esistenza e non ne vedremmo alcuna utilità.

Coloro che sono compassionevoli e saggi, che augurano per se stessi e per i loro cari una vita libera dal conflitto, dallo scontro e dalla guerra, farebbero bene a riflettere sul primato del cuore e della mente in relazione alla realtà “esterna”, anche se mente e realtà esterna sono della stessa natura.

Perché scrivere una lettera d’amore a Berlusconi

Grazie a Silvia per aver contestualizzato la mia lettera d’amore al nostro Silvio.  Nell’ultima settimana sono arrivate reazioni di tanti tipi, con suggerimenti su come migliorarla, dubbi sull’efficacia della lettera, speranze, condivisioni sulla trasformazione personale e altro.

La possibilità di vedere la propria pratica attraverso gli occhi degli altri, con l’apprezzamento, i dubbi, le integrazioni e condivisioni di altri punti di vista, è uno stimolo prezioso all’ulteriore crescita.  E’ anche affascinante come una cosa apparentemente semplice come una lettera possa toccare tanti ambienti diversi, dal nostro modo di relazionarci con l’altro genere al cambiamento sociale, e come in ognuno di noi certi temi risuonano con intensità diverse.   Finora più di 350 persone hanno letto la lettera, e da alcuni ho ricevuto bei messaggi e richieste su come trovare un gruppo di meditazione.  Se anche una sola persona ne avesse trovato beneficio, riducendo la sua sofferenza e rafforzando la sua pace, l’azione di scrivere avrebbe già superato tutte le aspettative. Vorrei quindi rispondere a una domanda molto ricorrente: perché scrivere una lettera d’amore a Silvio Berlusconi e che cosa si può aspettare da un’azione del genere?

La lettera l’ho scritta a Silvio, ma non necessariamente per Silvio.  Scrivere una lettera d’amore è stato un ottimo esperimento, una sfida che ha messo alla prova la mia capacità di calarmi nei panni di un’altra persona.  La capacità di uscire dai soliti confini e dall’identificazione con i miei interessi e le mie credenze è una qualità che vorrei sviluppare.  Come ho già menzionato, sono dovuto andare oltre a questo o quell’altro caso specifico e guardare in profondità l’oggetto della mia meditazione, e so che migliorare anche questa capacità porterà molti benefici nel futuro. In più, la pratica mi ha dato l’opportunità di riflettere sul percorso che ho attraversato nell’ultimo anno, cadendo più frequentemente di quanto volessi ammettere nella confusione fra ciò che davvero desidero e “le poco soddisfacenti vie per soddisfarlo”, uscendone però con più chiarezza e comprensione.  Cioè, per poter capire meglio Silvio ho dovuto capire meglio me stesso.

Un altro beneficio è stato quello di rafforzare in me la motivazione di “tornare a casa”, in modo quantitativo e qualitativo.  Per tutti questi motivi la pratica della lettera d’amore è stata molto forte e la consiglierei a tutti, anche se il destinatario non è proprio lui.  Nel passato ho scritto una lettera d’amore anche ai miei genitori e ad amici, e forse la lettera più significativa è stata quella destinata a me stesso.  Non una lettera di complimenti che esagera i propri punti positivi, ma una lettera che riconosce anche le debolezze e ti lascia con quella sensazione dolce di voler prenderti cura di te stesso, di fare, dire e ascoltare le cose davvero nutrienti.

Quando facciamo qualsiasi azione, c’è l’idea che quell’azione serva a uno scopo ben definito e identificabile.  Al mio parere, questo è un’illusione.  Quando suoniamo la campana, il tono arriva a 360 gradi; non è possibile suonare la campana in una direzione particolare, non ha senso.  E’ lo stesso con il profumo di un bastoncino d’incenso.  E anche le nostre azioni, che siano gesti, parole o perfino pensieri, hanno un effetto a 360 gradi.  Sopratutto siamo noi a subirne o goderne gli effetti perché portiamo quella campana con noi per tutta la vita!  Se scegliamo però uno dei 360 gradi come obbiettivo e ci attacchiamo ad esso ignorando il resto, aumentiamo la probabilità di rimanere frustrati e rancorosi anche se quell’azione ha fatto tanto bene in altri campi.  Sul tema di una visione olistica Karl Riedl ha tenuto un discorso a Pomaia il 21 agosto molto pertinente e pratico, spero che nel futuro sarà disponibile sul Internet.

Ovviamente, come alcuni di voi hanno menzionato, se mettessimo le nostre campane a suonare insieme, l’effetto sarebbe più forte e capace di risuonare con più intensità.  Anche in quel caso però si tratta di maggior intensità, non della capacità di indirizzare gli effetti della nostra azione.  Il fatto di non avere controllo non è niente da rimpiangere, secondo me.  Anzi, è una cosa davvero bellissima!  E’ un richiamo a controllare bene che il suono della nostra campana, che la fragranza del nostro incenso, sia dolce in ogni momento a prescindere del risultato specifico che speriamo di ottenere.  Per me almeno quest’immagine aiuta a rafforzare simultaneamente sia l’impegno personale e sociale che un’umiltà davanti alla complessità dell’universo e la rete di causa ed effetto fra le cose.  (Un esempio di armonizzazione delle nostre campane sarebbe incontrarci pubblicamente giovedì prossimo, il 29 settembre, a festeggiare il compleanno del nostro fratello Silvio, a invitarlo a tornare a casa in entrambi i sensi e a sostenerlo attraverso il nostro impegno, leggendo i cinque addestramenti alla consapevolezza e condividendo su come applicarli, spiritualmente offrendogli qualsiasi frutto che potremmo generare con la nostra pratica.)

Quindi, aspettare che le mie parole possano cambiare un’altra persona sarebbe naive e senza contatto con la realtà.  Dall’altra parte, la credenza che l’Italia sarebbe migliore se solo una singola persona non ci fosse è ancora più fantastica.  Thich Nhat Hanh ci insegna a tenere fra le dita un fiammifero e a chiedere alla fiamma “cara, da dove viene e dove andrai?”.  Per scrivere la lettera a Silvio ho dovuto chiedergli la stessa domanda.  Come sapete, i politici non sono noti per l’affidabilità e non posso garantire che vi darà la stessa risposta :).  Comunque sia, per aiutare i nostri politici dobbiamo aiutare il loro pubblico, e per fare questo dobbiamo essere in grado di mettere le nostre energie non ai piccoli drammi e confini che normalmente riempiono le nostre vite, ma alla stabilità e all’armonia necessarie per dar vita a una trasformazione sociale.  Come sappiamo, qui la pratica di tornare a casa può essere molto utile.

Grazie per l’ascolto, sarò contento di continuare la conversazione, con condivisioni o con il Silenzio.
Un fiore di loto,
Bar

Gerusalemme, Israele
Pianeta Terra

Caro Silvio… (lettera d’amore a Silvio Berlusconi)

Caro Silvio,

spero che queste parole ti trovino in buona salute e felice. Non ci conosciamo, ma sei stato il mio primo ministro da quando ho preso la cittadinanza italiana nel 2009. Credo che ci sia molto in comune fra di noi, a partire dai nostri nomi (Bar significa “selvatico” in ebraico) ma anche per altri aspetti, e proprio per questo motivo ho deciso di scriverti.

So che quest ultimo periodo è stato piuttosto difficile per te. Oltre all’incarico impegnativo del tuo ruolo pubblico, la situazione economica e politica è stata anche particolarmente difficile negli ultimi anni. Stai affrontando delle sfide legali molto grosse. Oltretutto, so per esperienza quanto una rottura di un matrimonio possa essere traumatica e non l’augurerei a nessuno. Mi sembra che ci sia molto stress nella tua vita e vorrei offrirti ciò che posso per aiutarti.

Quando mi trasferii a Roma anni fa ebbi la fortuna di incontrare un gruppo di persone che praticano una tecnica che ho trovato molto utile. Questa tecnica si chiama in vari modi, ma il mio preferito è “tornare a casa”. E’ molto semplice: si tratta di regalarci qualche minuto senza impegni o senza essere disturbati, di sedere in modo comodo e tranquillo, e di “tornare a casa” al respiro, permettendoci di far riposare il corpo e la mente. La sensazione di “lasciar andare” è simile a quella che provi tornando a casa dopo una lunga giornata di lavoro o un lungo viaggio, quando finalmente puoi posare la valigia e avere un attimo solo per te. “Tornare a casa” è molto piacevole e rilassante, e ci vuole solo un po’ di pratica.

So che per una persona così impegnata come te l’idea di prendere qualche minuto solo per sedere può sembrare una perdita di tempo. Nella mia esperienza però, quei minuti sono molto efficaci e mi permettono di tornare ai miei impegni con una mente più lucida e calma. Spesso, quando sono troppo stressato, è molto meglio non fare niente invece di agire! Essendo circondato da responsabilità e aspettative, forse questa pratica può essere utile anche a te.

Caro Silvio, non sei l’unico a sentirti preso dal desiderio sensuale. Viviamo in una società molto confusa, che confonde i piaceri sensuali (per esempio il cibo, il lusso e il sesso) con la felicità. Vogliamo tutti essere felici, ma siamo continuamente portati a cercare la felicità là dove non si trova affatto. “Tornare a casa” ci permette di fermarci, di riprendere i sensi e di distinguere fra il vero desiderio e quelle vie che non sono in grado di portarci veramente al nostro obbiettivo. Stare con una bionda non mi farà biondo, e stare con una ragazza giovane non farà di te un ragazzino. Possiamo sentirci attratti a una donna per la sua bellezza, la sua freschezza, la sua intelligenza o la sua bravura, ma l’atto sessuale non è in grado di trasmetterci le sue belle qualità. Se ci fermiamo un attimo e lasciamo che la confusione si plachi un po’, potremo sviluppare dentro di noi una vera bellezza e freschezza, e trovare modi per impegnare la nostra intelligenza e bravura affinché renda noi e gli altri davvero felici. Caro amico, ciò che veramente desideri ti è e alla portata di mano: se si trovasse in rapporti sessuali non l’avresti già trovato da tempo?

Tornare a casa, al respiro, al proprio corpo e al momento presente ci offre ancora altri benefici. Quando finalmente mi permetto di lasciare da parte le aspettative e i desideri che ho assorbito da fuori, sorge una specie di contentezza e un apprezzamento per le cose che normalmente do per scontate: il fatto di essere vivo per ancora un giorno, i colori e i suoni che ci circondano, e la bellezza naturale del nostro paese. Ed ecco un’altra somiglianza fra noi due: tu sei l’uomo più ricco d’Italia, e quando torno a casa spesso mi sento io l’uomo più ricco del mondo. Come con i piaceri sensuali, anche la ricerca delle ricchezze è in fondo una ricerca per qualcosa ancora più profonda. Non è mai troppo tardi e sono sicuro che appena scoprirai ciò che davvero desideri, sarai capace di realizzarlo. In più, la tua storia potrà aiutare molti di noi che attualmente soffriamo dalla stessa confusione.

A volte, ti può capitare di sentirti proprio come un re mentre chiudi gli occhi e torni al respiro. Uno ad uno, i “soggetti” si presentano davanti al trono reale: i pensieri, le sensazioni, le emozioni… Ed è una sensazione molto piacevole poter guardarli con interesse, con curiosità, ma con la dignità di un re di non sentirti dominato da nessuno dei tuoi soggetti. Sei tu il re! A volte certi soggetti tornano frequentemente per ripresentarsi, ma non vuol dire che il re deve per forza dargli l’attenzione che chiedono. Così la pratica di tornare a casa è un ottimo modo per liberarci dall’effetto della confusione fondamentale della nostra società, quella che ci rende ciechi ai nostri veri desideri e che ci offre vie per soddisfarli poco soddisfacenti. Spero che tu conosca questa libertà e il piacere che porta.

Caro primo ministro, vedo il tuo stress, le tue preoccupazioni, le tue paure e la tua confusione, e spero veramente che troverai un modo di trasformarli. Spero che tornerai a casa il più presto possibile, per il tuo bene e per il bene di tutti. Confesso che non ho votato per te e che non intendo votarti in futuro. Insieme ai nostri fratelli e sorelle, anche noi abbiamo bisogno di ministri capaci di impegnare il loro tempo e le loro energie in modi più salutari, facendo parte di un movimento di persone che vogliono apprezzare le bellezze della vita senza diventarne schiavi. Non ti sto colpevolizzando, portiamo tutti i segni di questa confusione, e colpevolizzarti non sarebbe né giusto né utile. E’ vero che la televisione, sulla quale hai molto potere, è una delle vie più forti di trasmissione della nostra confusione, e che una parte del tuo patrimonio è il frutto di un sistema pubblicitario che continuamente crea legami psicologici fra i nostri desideri più profondi e il consumo di prodotti e di rapporti. Perché questo sistema è così redditizio? Perché lo rendiamo vivo noi con la nostra attenzione, i nostri acquisti e la nostra mancanza di consapevolezza. Sei circondato, come noi, da persone che non riconoscono i loro veri desideri e il modo per soddisfarli, e che certo ti influenzano. E non sei l’unico ad influenzare gli altri in base ai messaggi che abbiamo ricevuto e accettato. Invece di colpa possiamo parlare di responsabilità, un campo in cui possiamo tutti contribuire, cominciando dal tornare a casa per prenderci cura della nostra mente.

Prendiamo due minuti per offrirci questo dono? Basta chiudere gli occhi, tornare al respiro e regalarci un po’ di riposo e chiarezza. Te lo meriti. Ce lo meritiamo tutti.

Se vorresti sapere di più sulla pratica di tornare a casa sarei felice di indirizzarti a persone con molto esperienza, dalle quale ho imparato molto.

Caro Silvio, ti voglio bene.
Augurandoti una buona salute e una vera felicità,

Bar
Roma, Italia
Pianeta Terra

Giuramento di Cittadinanza del Pianeta Terra

Giuro di essere fedele al pianeta Terra
Giuro di essere fedele all’umanità
Giuro di essere fedele a tutte specie sulla Terra

I. Il Pianeta Terra
Il pianeta Terra, questa nostra piccola casa nascosta nell’immensità dell’universo, è la fonte di tutto ciò che vive ed è la sostanza di cui siamo composti.

So che una Terra sana, equilibrata e libera dall’inquinamento dà vita a esseri più sani e liberi, e mi prendo la responsabilità di conoscere lo stato del pianeta e di guardare con occhi aperti e onesti l’impatto del mio modo di vivere. Nel mio paese, nella mia lingua e nella mia cultura cercherò di creare uno stile di vita che rispetti il pianeta.

Farò del mio meglio per conservarmi del tempo per restare in contatto con la natura, con i suoi suoni, odori e ritmi. Per prendere cura della terra al massimo, lascio che lei si prenda cura di me.

II. L’umanità

Facciamo parte della grande famiglia dell’umanità, di storie, di lingue, di culture, di musica e tant’altro. Non vorrei che nessuno dei miei fratelli e sorelle soffra, e farò del mio meglio per vivere in modo che crei pace e armonia, con occhi aperti e onesti all’impatto dei miei pensieri, delle mie parole e delle mie azioni.

Le cause della guerra, della fame e dell’ingiustizia sociale non sono gli esseri umani: sono l’avidità, l’odio, la confusione, l’ignoranza e la paura. L’incapacità di ascoltare l’altro e di vedere il prossimo nella sua umanità sono qualità che condividiamo e che ci uniscono. Perciò m’impegno a imparare in prima persona come restare aperto ai bisogni dell’altro, come restare calmo e stabile quando sorgono in me la rabbia e la paura, e come rafforzare sentimenti di comprensione e compassione, riducendo così le cause della sofferenza che sono in me ed essendo un esempio agli altri.

Davanti alle situazioni di conflitto cercherò di non cadere nei circoli di recriminazione e di violenza, e ricorderò che le vittime diventano presto aggressori e che i semi dell’aggressione sono anche in me. Il mio obiettivo quindi non è né la vittoria né la punizione, ma la riconciliazione. Terrò aperti gli occhi per vedere coloro che soffrono nell’oscurità, trovandosi fuori dei conflitti conosciuti e pubblicizzati, e per questo non ricevono l’attenzione e l’aiuto necessario. Cercherò i mezzi per sviluppare la generosità, la pace e l’apertura per poterli offrire a me stesso/a, alla mia famiglia e alla mia società.

L’umanità è anche una fonte di molta ispirazione, gioia, solidarietà, coraggio e amore. Cercherò di nutrirmi dal contatto con persone che esprimono quest’aspetto dell’umanità, e di fare della mia lingua, della mia cultura e delle mie tradizioni un mezzo per l’armonia, la solidarietà e la riconciliazione.

III. Tutte le specie sulla terra
Il pianeta e il grande organismo chiamato “vita” sono una cosa sola. Esseri viventi muoiono e si decompongono in elementi che poi formano altri esseri viventi. L’acqua che bevo oggi è stata bevuta milioni di volte prima di me, dissetando tanti esseri ed entrando nelle cellule di tanti organismi; nonché formando laghi, fiumi e nuvole. Lo stesso è vero per ogni elemento – fisico, emotivo e mentale – di cui sono composto/a. Il benessere di tutte le specie è quindi il mio benessere, e il loro malessere è anche il mio.

Perciò mi impegno a tenere gli occhi aperti alla sofferenza di tutte le specie della Terra dovuta alla produzione e l’eliminazione dei beni di consumo, alle costruzioni e all’industria alimentare, compresa la distruzione degli habitat, l’inquinamento e il riscaldamento del pianeta.

Rifletterò sul mio modo di vivere e insieme ad altri troverò modi di ridurre la sofferenza delle specie della Terra. La gratitudine, la compassione e il rispetto sono fonti di molta gioia e soddisfazione, e coltiverò queste qualità nel mio paese, nella mia lingua e nella mia cultura.

Giuro di essere fedele al pianeta Terra
Giuro di essere fedele all’umanità
Giuro di essere fedele a tutte specie sulla Terra

E’ verde, piccolo e fa felice. Che cos’è?

Questa terra ha tanti nomi, alcuni più conosciuti e alcuni meno. “La Terra d’Israele”, “la Palestina”, “Canaan”, ma anche altri più metaforici e descrittivi come, per esempio “Il paese stillante latte, miele e pesto.”

Per errore di trascrizione quest’ultimo è stato dimenticato. Pare che qualche goccia verde e oleosa cadde sulla pergamena perché allo scrivano che, che copiava il testo tenendo nell’altra mano un panino, finirono i tovaglioli. Quando il suo discepolo arrivò per eseguire la copia successiva, pensò che la macchia fosse una correzione. Non prestò neanche tanta attenzione perché sentì un desiderio strano ma assai forte di farsi una merenda. Posò il pennello e andò a mangiare una focaccia coperta di formaggio di capra e la specialità della casa, פסטו. Perciò le nostre bibbie sono incomplete e i cibi concessi per i scrivani sono ora più ristretti.

Ancor oggi gli israeliani vanno pazzi per il sapore di basilico e aglio pestati insieme. Lo troverai sui panini mozarela e pomodoro, servito insieme al pane quando ti siedi al ristorante, sulla pizza, nell’insalata… E’ come se fossimo tutti battezzati nel divino gusto da San Giovanni in persona. Credo che quel tocco di formaggio stagionato dà il senso di stare in un paese in pace, dove le piazze sono larghe quanto i sorrisi, dove il vino fluisce come il Giordano e soprattutto dove nessuno ti controlla la borsa quando entri nel ristorante e dove non senti un colpo di ansia quando uno scende dal autobus dimenticando una borsa sotto il sedile. Ci credo che gli israeliani sono innamorati dell’Italia: qui la foglia di basilico è la bandiera della libertà.

Non vorremmo tutti stare in un altro paese, dove non sentiamo frustrati con il nostro governo, dove la gente ci sorride e dove ci sentiamo liberi? Pensiamo tutti di avere la soluzione di tutti i problemi del paese, basta lottare contro quell’altro partito o paese, e poi quando finiamo per essere frustrati perché non funziona torniamo al sogno. C’è tanto in comune fra questi due popoli, e credo che tutti noi esseri umani condividiamo lo stesso sangue verde.

L’identità della pace

Secondo la stima cauta dell’ONU, più di 8.000 civili sono stati uccisi nel combattimento dal 20 gennaio. Non attribuisce la colpa. Però Human Rights Watch (HRW), un gruppo di ricerca e lobbismo, accusa le Tigri di tenere in ostaggio gli abitanti del loro primo feudo – e di uccidere alcuni che tentano di fuggire. E dice che l’esercito “ha bombardato senza distinzione zone densamente popolate, compresi ospedali, in violazione delle leggi di guerra.”

Bagno di sangue in Sri Lanka, “The Economist” 14.5.2009

Sono parole agghiaccianti di un altro conflitto tragico di temi conosciuti: la violenza, la lotta, la resistenza, il terrorismo, la guerra, la paura. Qui si tratta di indù e buddisti che non riescono a risolvere le loro differenze, tamil e cingalesi intrappolati nella confusione e nel odio.

Questa volta però le manifestazioni sono poche – ho letto di una sola a Palermo febbraio scorso, della comunità tamil. Con alcuni eccezioni, nel resto d’Italia e in Europa le emozioni rimangono calme, i dibattiti sono più rari e meno vociferi e pare che non è cosa degna di attenzione popolare. Dove sono le folle nelle piazze, le bandiere, i slogan? Dove sono i sostenitori dei diritti dei tamil contro l’aggressione buddista? Dove sono i pro-cingalesi che affermano il diritto di uno stato di difendersi contro il terrorismo?

Potremo dire che ci sono differenze fra i due conflitti, quello israeliano-palestinese e quello tamil-cingalese. Potrebbe essere però che la differenza più significativa nella nostra reazione non si trova lì in Asia occidentale o sud-est ma in noi. Cos’è che ci coinvolge così tanto di certe temi e non in altre? Quando leggiamo di Sri Lanka forse sentiamo un coinvolgimento più attutito mentre quando si discute il Medio Oriente i nostri cuori battano forte. Sia noi che crediamo di essere filo-palestinesi che noi che crediamo di essere filo-israeliani comportiamoci in un modo simile. E il fatto che siamo così divisi, e divisi fra le eterne faglie politiche italiane, punta al fatto che sotto le discussioni politiche c’è qualcos’altra. I filo-tamil e i filo-buddisti si dividono secondo i partiti politici classici?

C’è una barzelletta cattolica-americana: “Come sai se uno è cattolico?” “Se va a messa?” “No.” “Se fa la confessione?” “No.” “Allora?” “Se si vergogna ogni volta che il papa apre la bocca.” Credete che un americano d’origini cingalese avrebbe una reazione emotiva, a favore o contro che sia? Un americano cattolico, pur essendo ateista o protestante ormai da anni, sente il cuore batte quando il papa dice qualcosa di controverso. Come noi. Senza esserne coscienti ci sentiamo coinvolti. Ci identifichiamo con qualcosa.

La maggior parte degli italiani però non sono d’origini ebraiche, palestinesi, tamil o cingalesi. E quindi? L’identità è una strana cosa e non per niente razionale. Per tutta la vita siamo stati insegnati a prestare attenzione a certi temi, a identificarci con certe situazioni e persone. Siamo addestrati a provare emozioni davanti a certi simboli e non davanti ad altri. I motivi sono tanti, dall’antica disumanizzazione di un popolo alla guerra fredda; motivi storici, politici e anche personali e psicologici, dove c’entrano tutt’altro che gli oggetti della nostra attenzione. Il risultato è che siamo più propensi a riconoscere la sofferenza di alcuni e più propensi a chiudere il cuore davanti ad altri.

Ma non è questo proprio il problema? Là in Asia, come in altre parti del mondo, i conflitti violenti esistono perché le persone non riescono a identificarsi con gli altri. Questo è la base dei molti iniziativi di dialogo: imparare ad aprire l’orizzonte e il cuore alla esperienza del altro. Se vogliamo veramente aiutare, possiamo cominciare già adesso a sviluppare questa capacità. Noi filo-israeliani possiamo impegnarci a capire meglio le realtà dei palestinesi (e non “il punto di vista dei palestinesi”), e noi filo-palestinesi possiamo fare lo stesso con le realtà degli israeliani, nonostante che crediamo di già sapere tutto e di capire tutto. E possiamo tutti imparare ad aprire il cuore alle persone che siamo abituati a ignorare. Se non lo possiamo fare noi, che speranza c’è?

Facendo questo potremo scoprire tante cose. Uno, che la capacità di identificarci con più persone ci aiuterà a risolvere tanti conflitti nella vita quotidiana. Due, sapendo quanto è difficile sviluppare questa capacità, sentiremo più pazienza e compassione per gli altri che, come noi, hanno tanta strada da fare. Tre, anche se non possiamo risolvere tutti i conflitti subito, stiamo già diffondendo meno sofferenza nel mondo. Quattro, avendo gli occhi e il cuore aperti a chi ignoravamo l’esistenza, può essere che troveremo modi di aiutarli che non avremo visti altrimenti. Forse c’è qualcuno vicino a noi che ha bisogno del nostro aiuto.

Durante la guerra a Gaza ho provato a mettermi nei panni degli altri a 360°, dai giovani israeliani chiamati alla fronte ai politici e militari di Hamas e Israele, ai residenti di Gaza e del sud di Israele. Metterti nei panni di qualcuno non vuol dire accettare le cose che dice: a volte puoi sentire compassione per qualcuno che soffre così tanto che non riesce a identificare la radice della sua sofferenza. Già vedere che ci sono radici – e che non si tratta di un mostro – ci da la possibilità di cambiare le radici. E’ vero che facendo questa pratica non ho fermato la guerra. Credo comunque che è stato di beneficio e che grazie alla pratica ho diffuso la sofferenza in qualche misura ridotta dal solito, e i benefici non sono sempre immediati. Credo che rinforzando i propri pregiudizi e incapacità di sentire la compassione non risolve il conflitto neanche.

Ripeto. Se non possiamo noi imparare ad aprire gli orizzonti, verso chi siamo abituati a vedere come mostri o verso chi non siamo abituati a vedere proprio, non possiamo sperare che i nostri fratelli che vivono le guerra lo possono fare. E facendolo noi come esempio lo stiamo facendo anche più facile per loro.

L’ultima cosa. Che sono queste foto di scatole e scatole? Dopo la guerra sono andato ad aiutare un gruppo di israeliani che raccoglieva cibo, vestiti e altri materiali per donare ai residenti di Gaza, in collaborazione con un’associazione palestinese. Nonostante l’animosità della guerra e nonostante le narrative ufficiali che demonizzano l’altro, le donazioni sono arrivati dal tutto il territorio, compreso dai villaggi del sud d’Israele vittimi dei razzi di Hamas.

Fiumi

Mo che faccio il turista a Roma mi va di scrivere un
pochetto. Bello rivedere le mie piazze preferite, bello passeggiare lungo er Tevere. E stranamente là, attraversando il fiume sul ponte inglese mi è arrivata una bellissima sensazione, qualcosa di
festivo, di famiglia, ed ero trasportato nel passato a quando andavo con i miei a trovare la nonna. Ed ecco il legame – mia nonna abitava accanto a una ramificazione del fiume Chicago, un canale usato probabilmente come fognatura e scarico. L’odore non era organico ma fortemente salato, industriale e tossico. Esattamente come il Tevere la settimana scorsa.

Quanto strano è il genere homo sapiens, con un cervello che collega in modo così forte gli stimoli sensoriali con quelli emotivi, ricordandoli e legando le due cose per tutta la vita. Anche quando, come in questo caso, il contesto sensoriale è negativo, infatti tossico. Parlandone con un’amica, lei l’ha paragonato al radice di masochismo. Gadget di pelle e lattice sono una cosa però, e fiumi tossici sono un’altra!

Anche in Israele i fiumi sono inquinati, come Nàhal Sorèq ovest di Gerusalemme. Passeggiando fra alberi in fiore e uccelli di tanti tipi è difficile credere che è pericoloso bere l’acqua.

Sappiamo tutti che l’ambiente è inquinato ma spesso è solo un’informazione, qualcosa sulla quale pensare ed avere un opinione, senza necessariamente che percepiamo il pericolo e il danno al livello corporeo. Alla fine molti di noi siamo cresciuti così, non abbiamo nessun altro ricordo delle nostre città. Può essere che ormai siamo abituati come topi in uno sperimento psicobiologico? Se rendessimo conto del ambiente in modo diverso, forse ci comporteremo diversamente?

In questo preciso istante stiamo tutti respirando l’aria intorno a noi e con ogni probabilità l’ambiente sarà ancora più inquinato nel futuro, almeno nel breve- o medio- termine. Sarebbe un peccato non apprezzare adesso l’aria e l’acqua, perché comunque sono doni e ricchezze. E abbiamo ancora l’opportunità di trovare dei spazi verdi, perché non formare nuovi legami fra stimoli sensoriali ed emotivi, entrambi positivi? Può aiutarci a riconoscere un pericolo – emotivo o ambientale – e magari anche ad evitarlo o a migliorare la situazione.

E poi qualche foto della natura israeliana…

Delle cose fuggevoli e le cose eterne

Ognuno ha tanta storia
tante facce nella memoria
tanto di tutto, tanto di gnente
le parole di tanta gente.

Tanto buio, tanto colore
tanta noia, tanto amore
tante sciocchezze, tante passioni
tanto silenzio, tante canzoni.

E’ stato un giorno intenso. Nel arco di solo ventiquattro ore ho ricevuto un complimento, un sorriso, una critica, un gesto poco comprensivo, un ringraziamento, un aiuto e una lamentela. Tanti momenti, tante emozioni! A volte, le cose positive mi alleggeriscono e mi lasciano aperto e sorridente per una giornata intera. A volte, se mi toccano l’egotismo, mi appesantiscono e mi lasciano chiuso nel mio orgoglio. Le cose negative spesso mi lasciano arrabbiato, frustrato e concentrato su cose che non posso cambiare. E a volte un momento negativo mi può lasciare anche felice di avere un’opportunità di ascoltare, di regalare la pazienza e l’azione amorevole. Lo conoscete questo fenomeno?

Tutti questi momenti però, se mi lasciano gioioso o se mi lasciano frustrato, comunque mi lasciano. Il contesto del ringraziamento passa, le parole della litigata si dimenticano, l’ego si sgonfia, la rabbia si scioglie e anche il sorriso se ne va. Tanto di tutto per tanto di gnente?

Il sorriso però non è scomparso, l’avevo solamente passato a qualcun altro nello stesso modo in cui è stato passato a me. Uguale per la rabbia: qualcuno me l’ha trasmesso perché gli è stata trasmessa prima a lui (lei), e poi, senza essere consapevole di quello che faccio, la rimetto in giro con la prima persona che passa, o forse con una persona a me cara. Invece di essere effimeri le emozioni sono durevoli assai, molto di più che i contesti nei quali ci vengono trasmesse. E lo trovo stranissimo che la maggior parte dei miei pensieri sono concentrati sul contesto e non sulla trasmissione dell’emozione. Il primo si disintegra e il secondo crea una nuova catena e non potrò mai sapere dove andrà a finire.

La gioia, la rabbia, la frustrazione, l’odio, l’amore e la paura sono tutti fili lunghissimi che tessiamo ogni giorno e in ogni momento. Riceviamo un filo e lo tessiamo insieme agli altri che sono fra le nostre mani, e poi lo passiamo alle persone con cui siamo in contatto. E’ bello vedere il percorso di un sorriso e i modi in cui abbiamo fatto felici gli altri, passandogli la felicità che abbiamo ricevuto. Ma è anche triste vedere il percorso della rabbia, i modi distruttivi in cui esprimiamo ciò che ci è stato trasmesso, specie verso persone a cui vogliamo bene.

Forse “sempre” è una parola troppo grande. Visto così, però, se riusciamo a tagliare quel filo della rabbia, cambiare quel altro della paura, e rafforzare quello della gratitudine, è sicuro che gli effetti dureranno per tanto. Tanti sorrisi, tanta calma, tanta stabilità e per tante generazioni. Con questo sguardo, cosa è fuggevole e cosa è eterna?

Anche tu così presente
così solo nella mia mente
tu che sempre mi amerai
tu che giuri e giuro anch’io
anche tu amore mio
così certo e così bello.

Anche tu diventerai
come un vecchio ritornello
che nessuno canta più.

Carissima Gabriella. Avevi la capacità di esprimere un’emozione al massimo e di farla sorgere nel cuore di chi ti ascolta. Suscitavi sentimenti, le amplificavi e le trasmettevi per persone che magari hanno difficoltà a riconoscerle. Mi dispiace, quindi, la tristezza e la disperazione che trovo in queste tue parole, e non posso fare altro che tessere insieme i fili preziosi che mi hai passato insieme ad altri non meno preziosi.

Il tuo amore certo e bello non è per sempre, neanche tu, neanche io e neanche la tua Roma. Le fonti della tua ispirazione però continuano a ispirare. La capacità che hai ricevuto di metterti in contatto con le emozioni continua il suo percorso, l’avevi trasmesso a tanti, e come! Accolgo la tua gioia e la faccio sentire agli altri, accetto la tua vivacità e la lascio influenzare il modo in cui approccio il mondo. Ascolto la tua tristezza, la trasformo in gratitudine e poi lascio che il nuovo filo prenda la sua strada. Così insieme diventeremo un ritornello, senza nome, che si canterà per molto tempo.

Grazie Gabriella.